Vi auguro di perdere il sonno per un libro, almeno una volta nella vita. Impasse superato con La casa della moschea. In compenso, ho di nuovo perso il controllo della sveglia.
Depennare.
Più che pianificare, organizzare, strutturare, sono portata a depennare. Depenno anche quello che non andrebbe depennato, ovvero, la lista della spesa. La lista della spesa, una volta fatta, andrebbe semplicemente cestinata non depennata. Però depenno, è più forte di me, e mentre lo faccio penso “fatto, fatto, fatto… fatto.”
Sulla scrivania ho sempre dei fogli di improbabili block notes tempestati di appunti. Tra un appunto e l’altro ci sono i pagamenti da fare, le mail da inviare, degli orari sparsi. Tutti depennati con uno Stabilo Boss pastello. In questo momento, alla mia sinistra, ho tre fogli con appuntata la vita di Soleimani, l’impeachment di Clinton del ’98, il nome del fondatore di Raqqa is Being Slaughtered Silently, i titoli dei prossimi due libri che probabilmente leggerò. Ai margini dei fogli, sotto o tra uno spazio e l’altro ho scritto “quota ordine giornalisti” “18 oculista” “mail A.” “patate mamma”. Sì, tra i nomi di Soleimani e Clinton ho davvero scritto “patate mamma”.
Attribuisco a queste note sparse qua e là l’incostante volontà nel compilare un’agenda. Ne ho trovate alcune degli anni scorsi: a gennaio bella calligrafia e penne colorate; a febbraio bella calligrafia; a marzo parole appuntate; ad aprile parole appuntate a settimane alterne; a maggio parole illeggibili; a giugno fine dei giochi. Affido tutto alla memoria e ai fogli volanti. Quindi no, quest’anno neanche ci provo ad acquistare un’agenda, del resto, l’importante è depennare, non importa dove. Fatto.
Il recinto belante.
La mia rassegna stampa mattutina può idealmente essere divisa in questo modo: 70% Medio Oriente, 10% Italia, 20% resto del mondo. Mi sono avvicinata alla storia sostenendo la causa palestinese, da quel momento è stato tutto un leggere, selezionare, approfondire, analizzare. Ho cercato, e cerco, di avere una mia opinione oggettiva su tutto: per oggettiva intendo pulita e non filtrata, per tutto intendo tutto quello di cui ho una solida base conoscitiva. Se non conosco ascolto ma, soprattutto, taccio. Semplice.
Succede sempre ed è successo anche questa volta con la morte di Soleimani. Parole disinformate, sensazionalistiche, allarmiste, hanno oltrepassato il recinto belante di Facebook per approdare sulle prime pagine dei giornali. Su Facebook ormai ce l’aspettiamo, del resto è la madre della moderna tuttologia, nelle fanta-fuffologiche trasmissioni di Mario Giordano anche, ma sulla stampa, quella vera, no. Eppure è successo.
La sconfitta più grande.
Sono state dedicate decine di prime pagine a una guerra che, fin dal principio, si sapeva non ci sarebbe mai stata. “Quasi godono nel farci cagare sotto”: riporto testualmente le parole di un amico. Poi c’è stato il boeing ucraino abbattuto da un missile iraniano e la vite violate di alcuni dei suoi passeggeri in un susseguirsi di foto sottratte ai loro profili social.
Nel frattempo, continuano le proteste in Iraq: i manifestanti condannano le ingerenze politiche di America e Iran (sì, Iran) e la corruzione governativa. Probabilmente ci saranno dei morti, come accaduto nelle ultime settimane. Probabilmente nessuno ne parlerà, perché ormai è chiaro: della morte di decine, centinaia, migliaia di ragazzi che cercano di cambiare il corso della storia in quell’area di mondo chiamata Medio Oriente, non interessa quasi a nessuno. Ci siamo abituati ad alcuni morti, ed è questa, forse, la sconfitta più grande.
Raqqa.
Caro giornalista, perché parlare di guerra o di polveriera mediorientale pronta ad esplodere, quando sai che le cose non stanno davvero così? La risposta è arrivata con Raqqa is Being Slaughtered Silently, Raqqa viene massacrata in silenzio.
Isis. Torniamo un po’ alle origini, diciamo così. City of Ghosts, firmato da Matthew Heineman, è quel documentario che ci ricorda cosa l’Isis abbia fatto a “casa propria”, cosa significa informare, cosa si intende per giornalismo partecipativo e lo fa con la potenza delle storie di chi ha fatto dell’informazione una missione. I veri giornalisti sono quelli di Raqqa is Being Slaughtered Silently. Ve lo consiglio (lo trovate sottotitolato in italiano su Amazon Prime Video).
Galletto.
La prima parola di questo ventiventi è: galletto. Mai più senza quello di Rosita a Carugate. Di contro, per zittire la mia coscienza, ho iniziato a “depurarmi” con un numero forse eccessivo di tazze di tè verde acquistato nella Chinatown di Milano. Ho smesso di mettermi fintamente a dieta ogni lunedì, ormai, sono abbastanza grande per non credere più alla favole. Un po’ e un po’ è sempre la (mia) soluzione migliore.
Milano.
Questa volta le papille gustative ringraziano i cubetti di tiramisù di Iginio Massari. Il Birrificio Lambrate ha soddisfatto ogni aspettativa e sono sempre più convinta che la Ravioleria Sarpi sia la nostra migliore tradizione. Menzione d’onore alla Macelleria Popolare del mercato della Darsena: Giuseppe con la sua arte oratoria avrebbe potuto convincermi a mangiare anche la lingua ma, onestamente, il suo hamburger è da applausi. In mancanza di una sua foto causa estrema voracità, lascio quella dell’ottimo fegato alla griglia.
Terroni si nasce.
Siamo partiti da Bari con un imbarazzante carico di taralli, sottoli, marmellate e sughi rigorosamente homemade, ovvero, fatti dalle amorevoli mani di mia madre. Non contenti, viaggiavano con noi anche un vassoio di cartellate, un intero calzone di cipolle e un piatto con 6 panzerotti. La merenda. Terroni, fortunatamente, si nasce.
L’ingente quantità di cibo, in grado di sfamare l’intera pianura padana per settimane, non ci ha fatto desistere dal fare una deviazione più che necessaria. Bologna, Pasta Fresca Naldi: ordinate dei tortellini in brodo o una lasagna (i miei preferiti), scegliete un tavolo al Barazzo, prendetevi una birra e godetevela tutta.
Non tutte siamo nate per essere principesse. Per fortuna.
Non ho mai amato nessuna principessa Disney, detta in tutta onestà le ho sempre trovate po’ rintronate. Avrei dovuto capire che piega avrebbe preso la mia vita quando, circa 30 anni fa, ho eletto Robin Hood come mio cartone Disney preferito. C’è chi sogna un castello e chi la foresta di Sherwood.
Voglio colibrì e orsi danzanti.
Torno alle origini, al mio primo, vero, unico amore: i R.e.m. Li ho sempre stimati per i testi tra l’onirico e l’allucinato. Grazie a Michael Stipe guardo la luna e, nel mentre, immagino gli orsi danzare.
Voglio i colibrì, gli orsi danzanti
dolcissimi sogni di te
Guardo le stelle
Guardo la luna.
Photo Credit Unsplash
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