21.03.19
Inizio a scrivere questo post in un pomeriggio di marzo.
Un pomeriggio qualsiasi, come tanti, nonostante il calendario segni il primo giorno di primavera.
Lo immaginavo diverso questo pomeriggio, quello in cui avrei scritto del mio viaggio in Libano. Ho aspettato il momento giusto, pensando che il momento giusto fosse fatto di candele e vinili, silenzio e tè sorseggiato.
Il momento giusto è oggi. Ora. 21 marzo.
Non ci sono le candele, non suona nessun vinile e non sorseggio tè.
Sono sola, con degli appunti presi sul retro di un biglietto aereo. Chissà perché. Acquisto Moleskine e quaderni trasportata da una leggera e compulsiva ossessione, ma finisco col lasciare qua e là appunti confusi e spezzettati.
“Sono sulla strada giusta? Beh, in Iran lo ero di certo. In Libano altrettanto.”
Il Libano è stata la mia ultima strada giusta. Mi sento in dovere di scriverlo, di raccontarlo, di ricordalo a me stessa. Se incontri quella sensazione di pace così intensa da smuovere l’anima devi gridarlo.
Il Libano è stato liberazione, isolamento, ritorno. Un ritorno che parla di pensieri coerenti, parole sicure e pagine che si riempiono. È tornata la carta, il suo profumo. Quello della certezza.
Aspettavo il momento giusto.
Libero dai pensieri di un presente che a volte stranisce, altre tira un sospiro di sollievo.
Il 4 gennaio tornavo nell’Italia dei porti chiusi, dell’indifferenza, della meschinità e tornavo dopo aver visto campane e muezzin incontrarsi nell’aria. Ho reagito leggendo, ancora di più. Scrivendo, ancora di più. Non lasciando alcuna parola al caso, ancora di più.
Non resta che ricostruire quello che viene distrutto, a partire dalla morale. Non resta che cercare di fare la differenza, perché tocca a noi decidere da che parte della storia stare. Non resta che conoscere davvero, approfondire, condividere.
Volevo scrivere del Libano, raccontare del libraio di Badaro e della Casa Gialla, delle colazioni al Cafè Em Nazih di Beirut e del souk di Sidone. Ma le parole cambiano direzione all’improvviso, vanno in retromarcia, inchiodano.
Scrivere è un atto d’amore. Il primo che ho conosciuto.
Ti amo terribilmente.
È il titolo della poesia de “l’amore basta all’amore” di Kahlil Gibran, poeta libanese. L’amore inteso come forza, come risposta, come quel tutto che contiene il senso della vita. Amore per la terra che ci ha visti nascere, per l’altro, per se stessi. Non amo la poesie d’amore, ma questa è la mia eccezione, il senso, il conforto.
“Il grande amore non si può vedere ne toccare, si può sentire solo con il cuore. L’amore non dà nulla se non se stesso, non coglie nulla se non da se stesso. L’amore non possiede ne è posseduto: l’amore basta all’amore.”
Penso al Libano, all’amore che si può sentire solo con il cuore, alla scrittura, alla strada giusta e ai pensieri coerenti.
Le parole sono cresciute, le idee rafforzate.
Sono io.
Volevo scrivere del Libano. Ma è andata così.
Friariella says:
Amo leggere ciò che scrivi. Post così ancora di più.
Roberta Longo says:
Amo scrivere ciò che ami leggere, ma questo lo sai. Ti abbraccio fortissimamente mio piccolo babà!