Qualcuno se ne è accorto, chissà cosa sperava di trovare.
Manco su queste pagine da 7 mesi. Non era mai capitato, ma si sa, la vita è un susseguirsi di prime volte. Potersi permettere di non esserci è una bella sensazione e quando capita me la godo. Meno piacevole, al contrario, la consapevolezza del non esserci per l’impossibilità fisica di poter raccontare lo spazio che vorrei. L’ultima volta erano appena arrivate le rondini, oggi è tempo di castagne.
Sono le 10.16. Ho tra le mani una tisana ayurvedica alla curcuma, liquirizia e zenzero. La parola ayurveda è composta da vita (ayu) e conoscenza (veda), quindi “conoscenza della vita”, o meglio, “l’arte del buon vivere”. La mia personale arte del buon vivere si riassume in “qualità elevata, basso impatto”, insomma, il mantra del turismo in Buthan. Vorrei diventasse il fil rouge della mia vita. Ci sto provando.
Relazioni felici
Quante cose sono successe in questi ultimi 7 mesi. Quanti libri ho iniziato a leggere e a interrompere dopo una manciata di pagine. Non ho retto neanche ad Agatha Christie, prima volta anche questa. Devo la rottura di questo macabro incantesimo, per dirlo alla Christie, a Francesca. Un gesto romantico e rivoluzionario il suo: regalarmi un libro fatto della mia “stessa sostanza”. Il libro in questione è Dove l’aria è più dolce, di Tasneem Jamal. Spero di essere all’altezza di tutta questa sostanza.
Ho iniziato a leggerlo sabato 7 novembre, in attesa del discorso della vittoria di Biden. La notte resta sempre il tempo migliore per la lettura. Lo è stato e lo è di nuovo. L’anello di congiunzione tra me e Francesca è Instagram. Se non ci separassero svariati km le chiederei di parlare di libri (e lei ne sa tanto tanto tanto) in un caffè dall’aria parigina, con un cappuccino alla cannella tra le mani e una fetta di crostata davanti. L’alternativa mi vede il giorno di San Giovanni a Parma, la sua città, a sugellare l’incontro con un piatto fumante di tortelli d’erbetta.
Qual è il valore aggiunto dei social nella quotidianità? Lo chiedono spesso i ragazzi che frequentano i miei corsi. La risposta è solo una: la relazione. Quanto più autentica, sincera e slegata da qualsiasi tipo di interesse è, tanto più appagante sarà. Grazie Franci.
Di Francesca in Francesca, di corriere in corriere. Amica da anni ma anche consulente di bellezza, consulente del lavoro, psicologa, ghostbuster. Francesca ha sposato una causa, quella della mia pelle. Dopo le fiale di eterna giovinezza ha deciso di donarmi l’eterna morbidezza in formato XL. Ogni sera, quando strucco i miei delicatissimi e irritabilissimi occhi verdi con il suo olio di mandorle bio, penso all’enorme, raro potere delle relazioni felici.
Lasciamo volare qualcos’altro
Non voglio lasciare alla volatilità di Instagram alcune delle parole scritte negli ultimi mesi. Ho deciso di riportarle qui e penso diventerà un’abitudine.
1 giugno
Sono nata nello stesso anno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. A 5 anni ho iniziato a leggere e da quel momento non ho più smesso. Di lì a poco ho preso una penna tra le mani: ho scoperto di essere mancina e di preferire le minuscole alle maiuscole. Il mio compagno di banco aveva il vizio di masticare le punte dei pastelli, io preferivo i panini all’olio con il prosciutto cotto della Salumeria Ricci. Il cibo cucinato con amore e abbondante olio mi ha fatto diventare grande. Il 20 marzo 1994 avevo 11 anni e 9 giorni: al TG delle 20.00 vidi il volto di una giovane giornalista uccisa a Mogadiscio. Era Ilaria Alpi e quel giorno decisi di voler diventare giornalista. Ho impiegato qualche anno ma lo sono diventata. Nel frattempo, il verde è diventato il mio colore preferito, i REM una certezza, il libro di mitologia greca l’unico consumato.
A 18 anni ho iniziato a viaggiare. Il mio primo volo da adulta mi ha portato ad Ibiza: ho scoperto quanto mi trovassi più a mio agio in cielo che in terra. A 20 anni mi sono divertita, a 30 sono diventata io.
La scrittura è diventato il mio lavoro. Lo sono diventati anche i social media, il che crea molta confusione nella firma in calce alle mail. A volte sono giornalista, a volte travel writer, altre social media strategist. Giornalista e social media strategist non sono figlie della stessa madre, eppure, possono convivere pacificamente. A volte, anche felicemente. Da un po’ sono passata in cattedra: onestà è la parola che uso più spesso durante i miei corsi.
Il Medio Oriente è l’unico posto oltre casa in cui mi sento davvero a casa. Ho scoperto di essere intollerante al lattosio, al fruttosio, ai bugiardi e ai sovranisti. Ho scoperto che tutti lasciamo un segno, ma solo alcuni un’impronta: penso a Giovanni Falcone, Vittorio Arrigoni, Gino Strada. Ho un debole per il silenzio, le spighe di grano, le isole, il vino rosso, gli asparagi selvatici, i ravioli cinesi, i fiori di campo, le librerie che toccano il soffitto. La mia libreria è divisa per nazionalità degli autori: i sudamericani detengono con fierezza il maggior numero di mensole. Mi annoiano gli indifferenti, le ovvietà, gli arroganti e i saccenti. Amo chi prova piacere davanti al buon cibo, chi non sente il bisogno di primeggiare. Non ho ancora fatto pace con la sveglia prima delle 8, con il freddo e con gli scarafaggi. No, neanche con il dono della sintesi.
Quella in foto è Bari, la mia città, ci somigliamo molto. Non amo apparire, tantomeno nelle foto, scegliere lei è stato quasi naturale.
11 agosto
Ho trovato quel biglietto per Beirut di ritorno da un viaggio di lavoro alle Isole Tremiti, appeso su un filo di luci che correva da muro a muro. Era l’ultimo giorno di agosto. Quei biglietti erano il punto di approdo di un desiderio comune, le pagine di Douaihy che si facevano concrete, il sapore del babaganoush che si avvicinava.
Siamo partiti dopo 4 mesi.
È stato un viaggio impegnativo, retto da una bellezza in grado di avvolgere anche le tenebre della storia. C’era bellezza intorno ai checkpoint, nei contrasti e nelle mille anime, nel retrogusto delle olive a colazione, nei clacson impazziti di vita, nelle voci dei caffè letterari, nei felafel bollenti, nell’incrocio di chiese e moschee. C’era bellezza anche tra i segni dell’odio, cicatrici su palazzi nudi e sventrati da una guerra insensata come tutte le altre. Bellezza nell’odio, che pensiero assurdo. Eppure era lì, riflessa nella seconda vita di tanti, quella della ricostruzione.
Beirut è dannatamente bella da sempre, dannatamente martoriata da troppo. Ancora una volta.
Ovunque mi giri, in casa, c’è qualcosa che me la ricordi. L’ultima busta di origano sulle mensole della cucina, le stampe color seppia di Halabi Bookshop a sinistra della mia scrivania, la bandiera sotto quella della Palestina nel corridoio, il backgammon in ebano nel salotto. Beirut è sempre con me.
Auguro a Beirut, al Libano, un buon governo, giusto e onesto. Auguro al Saifi Urban Gardens la mia casa in città, di tornare ad essere casa per tanti fortunati viaggiatori, tra quelle stesse mura ormai ridotte in polvere o altrove. Auguro a quegli occhi tristemente abituati alla distruzione di non arrendersi alle macerie. Vi auguro la pace, lo splendore di un tempo, la serenità dei vostri figli.
Cara Beirut, ci vediamo presto.
1 ottobre
Ne è passato di tempo.
L’ultima volta ricordavo il Libano, senza sapere che avrei incontrato i suoi cedri in un giardino pugliese, una domenica di settembre. A portarmi in quel giardino sono stati 11 kg di melanzane bianche, quelle che la tradizione conserva sottolio nell’ultimo scampolo d’estate. Ti aiutano a sopravvivere all’inverno, insieme alle olive nere fritte e al vino rosso. Tra le melanzane e i cedri, ho oltrepassato un filo di ferro. Davanti, le uniche geometrie di cui sento davvero la mancanza.
“In fronte a questo eremo volto alla terra che amaste incido i nomi vostri padre mio Giuseppe, fratello mio Raniero, perché il sole a ogni alba li illumini come l’ardore del perenne ricordo li illumina nel mio cuore.”
Si chiama Villa Minareto ed è stata luce.
Ho seguito il mare nascosto tra le dune più alte, il profumo di arrosto delle scioglievoli bombette di Manduria, le note di De Andrè tra la pietra di un piccolo borgo di provincia, un fisarmonicista appassionato sotto le stelle del mio quartiere e i sonetti di Skakespeare respirando la pioggia in arrivo. Ho letto poco, lavorato tanto, dormito il giusto. Ho votato No al referendum e poi mangiato un piatto di cavatelli al profumo di mare in un luogo non luogo chiamato Nevada, miraggio di cibo in una contrada dedicata al Cristo Re. Ho scritto una guida che vuole essere un racconto sul Marocco, arriverà.
Non vuole essere un post, ma una lettera di fine estate che annota quello che è stato. Sopravvive quello che il ricordo conserva.
27 ottobre
Ogni ottobre, da 4 anni.
Il nostro è una sorta di tributo: al Giardino degli Dei, ai pini loricati, ai ravioli ai porcini di Maria, al liquore al faggio di Tonino, alle noci di Rocco e al profumo di legna nell’aria di San Severino Lucano. Sono solo due, finora, i luoghi del mondo in cui continuo a tornare e ritornare: uno di questi è Viggianello. Dormiamo e ceniamo sempre all’Oasi, raro esempio di amore fedele. I ravioli di Maria sono la spinta al mio unico trekking dell’anno: 8 ore di saliscendi e dislivello in cambio di 8 minuti di estasi salivare. Funghi per antipasto, primo e secondo, un piacere mistico a cui tutti dovremmo cedere. L’idea di pasteggiare con quello che Maria e Tonino coltivano, allevano e producono in totale autonomia basta a saziare la mia totale abnegazione al buon cibo. Quella tavola è il riassunto di una terra, di una stagione, della clemenza della natura, della tradizione di un luogo che sa di purezza.
Porto sempre con me una felpa di velluto comprata per non soccombere all’inverno libanese, fondamentale per non soccombere all’autunno sul Pollino; porto qualche trucco che puntualmente non uso, un jeans e un improbabile abbigliamento da trekking. Ceniamo presto, andiamo a letto prestissimo, dormiamo tanto. Ho un debole per il silenzio, per il fruscio delle foglie mosse dal vento, per i rami carichi di mele che intravedo dalla finestra. Un luogo semplice, per cuori maturi: mi piace definirlo così. Sentirne il bisogno durante l’anno rende l’attesa un misto di necessità e desiderio.
Questa volta, ho portato con me la Canon; l’ultima volta che ho scattato ero a Salta, in Argentina. Ho deciso di stampare 5 foto di ogni viaggio vicino o lontano che farò, alcune sono tra queste. Ci sono i boschi del Parco Nazionale del Pollino, l’Oasi, Rotonda (tappa fissa per fagioli bianchi e melanzane), Civita, la bella scoperta di una domenica deserta in cui tra i vicoli riecheggiava la voce di Giuseppe Conte. Negli ultimi anni la mia idea di viaggio si è fatta sempre più viscerale e profonda, è cresciuta con me, cambiata dal corso delle cose. Va oltre il vedere, oltre il fare, oltre l’assaggiare. Non so definirlo, so solo che qualche giorno fa è successo.
Come un sogno di follie venduto all’asta
Oggi abbiamo qualcosa da festeggiare e lo faremo con un piatto souvlaki degno della migliore taverna greca. Ci sono state le cene argentine, quelle libanesi e ora quella greca: tanto basta per essere felici.
Prendetevi cura di voi e, quando passando di qui non troverete nulla di nuovo, immaginatemi con una tisana ayurvedica tra le mani ad ascoltare Sfiorivano le viole.
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